Le interviste di Oltreconfine
Alberto José Varela
Alberto José Varela. Il vagabondo spirituale
di Giovanni Picozza
in Incontri (Oltreconfine - n° zero - Ott. 2011) € + spese sped.
Hai vissuto per lunghi periodi nella selva a stretto contatto con i curanderos colombiani, hai preso l’ayahuasca numerose volte e hai guidato sessioni di gruppo qui in Spagna. Ti consideri uno sciamano?
Molta gente mi ha fatto questa domanda. La risposta è che non lo sono. Sono un occidentale, non sono nato nella selva, nelle mie vene non scorre sangue indigeno, non conosco le piante. Per essere uno sciamano bisogna avere un potere sul mondo minerale, vegetale e animale a un livello molto profondo, che si acquisisce solo vivendo nella selva a contatto con gli elementi e con lo spirito della natura. Io non sono uno sciamano, ma sono stato formato da alcuni sciamani. Negli anni ho fatto più di trenta viaggi nella selva colombiana trascorrendovi mesi interi. Ho preso ogni tipo di sostanza che gli sciamani mi davano per aiutarmi a superare il limite rappresentato dalle mie paure. Mi dissero che se volevo dedicarmi a questo tipo di lavoro e portare con me la pianta in Europa, avrei dovuto varcare quel limite. Solo allora mi sarei convertito, nello spirito, in uno sciamano, pur non essendolo come esperienza di vita. Si potrebbe dire che ognuno nasconde dentro di sé un talento sciamanico che si attiva solo nel momento in cui si osa attraversare il limite delle proprie paure. Quando non si ha più paura della morte, della malattia, della sofferenza, allora, dicono loro, si è pronti per iniziare il lavoro. Ed è quello che ho fatto. Ho portato l’ayahuasca con me in Spagna e ho iniziato a organizzare sessioni di gruppo.
Come funzionavano queste sessioni?
Insieme a un gruppo di psicologi e terapeuti avevamo creato un programma di abbordaggio psicosciamanico della durata di tre mesi, basato su un lavoro misto tra psicoterapia tradizionale, tecniche olistiche e assunzione di ayahuasca come parte del processo terapeutico. Il programma durava tre mesi perché gli sciamani ci avevano consigliato di svolgerlo nel periodo di tre lune, in tre periodi di ventotto giorni. Oltre a prendere l’ayahuasca ogni quindici giorni, in questo programma si svolgevano regolarmente sedute di terapia di gruppo e di terapia individuale. Quello che ho fatto è stato quindi decontestualizzare la medicina sciamanica dalla cultura della selva. A me non interessavano più di tanto il rito o il cerimoniale, quanto il potere della pianta ed è proprio quel potere che ho cercato di inserire in un programma psicologico e psicoterapeutico. Questo non significa che mi sia allontanato dagli sciamani: c’è un vincolo affettivo e spirituale molto forte con i curanderos. Più volte sono tornato nella selva con gruppi di psicologi e terapeuti affinché ci insegnassero a maneggiare con il dovuto rispetto la medicina, il rimedio, come la chiamano loro, e a infondervi la giusta intenzione. Sono stati loro a insegnarci tutto quello che sappiamo in relazione alla pianta, alla medicina. Noi, qui in Europa, abbiamo invece provveduto a fornire il sostegno terapeutico necessario a mettere a fuoco quel che può emergere da questo tipo di lavoro interiore. L’esperienza con la pianta è molto potente, si smuovono diverse cose a livello fisico, emozionale, psicologico e spirituale che è necessario integrare nella realtà quotidiana. L’ingestione di ayahuasca produce inizialmente un processo corporale di diarrea, di vomito, di eliminazione di ogni tipo di tossina dal tratto digestivo. Questo processo di pulizia profonda predispone l’organismo a un’apertura di coscienza e a un aumento di comprensione. Per questo non si può sostenere che l’ayahuasca sia una droga: le droghe ti allontanano dalla realtà, creano separazione, l’ayahuasca piuttosto t’immerge nella realtà, mostrandotela senza finzioni e reticenze. L’ayahuasca ti fa prendere piena coscienza di quel che stai vivendo, aiutandoti ad accettarlo con amore e incoraggiandoti a provare gratitudine per l’esistenza. In questo senso è un processo terapeutico molto profondo.
Si corrono dei rischi prendendo l’ayahuasca?
La pianta ha il potere di farti visitare altri mondi e altri piani di realtà. Se queste esperienze spirituali e mistiche così intense non vengono integrate nella realtà quotidiana si corre il rischio di incappare in forme più o meno forti di psicosi. La nostra realtà fisica non viene più riconosciuta come reale e si finisce per creare una realtà virtuale e parallela. Questo capita molto raramente, una volta su mille, e nelle migliaia di persone che ho assistito nelle sessioni non l’ho mai visto accadere. Molto spesso ho visto invece persone che soffrivano di schizofrenia o di psicosi maniaco-depressive migliorare moltissimo il loro stato psicologico, se non addirittura guarire, dopo aver preso l’ayahuasca. Per non parlare dei risultati straordinari nella cura dell’alcolismo e delle tossicodipendenze. Per questo mi viene da ridere se penso che sono stato arrestato con l’accusa di diffondere una droga che crea dipendenza e che addirittura può uccidere le persone. Certo, sostenere che le dipendenze possano essere risolte con un preparato sciamanico che viene dall’Amazzonia, e non con un farmaco venduto in farmacia, vuol dire andare in cerca di problemi.
(continua)